HARRY SULLIVAN
(1892 - 1949)
- “Teoria interpersonale della psichiatria”
Sullivan formulò la sua “Teoria interpersonale” tra il 1929 e il 1930 e la espose nella sua unica pubblicazione del 1947 “La moderna concezione della psichiatria”. L’enfasi che egli pose sull’importanza nello sviluppo della personalità dei rapporti interpersonali, ha costituito un contributo fondamentale all’evoluzione della teoria delle relazioni oggettuali.
Sullivan fu una figura di primo piano nella psichiatria americana: egli condusse una battaglia su due fronti, quello della tradizione psichiatrica e quello della tradizione psicoanalitica.
Rispetto a quest’ultima egli contrappose la sua “teoria interpersonale” al modello pulsionale classico; vediamo infatti che Sullivan, conformemente a quello che è il caposaldo della teoria delle relazioni oggettuali, sostiene che l’attività psichica non è orientata alla soddisfazione della libido e delle pulsioni, ma principalmente alla soddisfazione del bisogno di contatto e sicurezza. Differentemente da Freud egli, nello sviluppo della personalità normale e patologico, attribuisce una funzione predominante alle determinanti socio-culturali e più precisamente ai rapporti interpersonali. E’ per questo motivo che spesso Sullivan viene accostato a Fromm, Adler, Karen e Horney, tutti autori post-freudiani che hanno posto l’accento sul ruolo svolto dai fattori ambientali nello sviluppo della personalità, ma che, differentemente da Sullivan, hanno ripreso la linea di Freud ponendosi come continuatori del suo sistema; Sullivan invece propone una teoria completamente nuova ed originale.
Come tutti i post-freudiani anche Sullivan, pur concentrandosi sulle determinanti interrelazionali, non nega l’influenza dei fattori biologici e costituzionali nello sviluppo della personalità, che comunque si struttura su un substrato organico.
Secondo S. il carattere primario dei bisogni di contatto e sicurezza, si rende particolarmente evidente nel rapporto complementare madre-bambino in cui al bisogno del piccolo di essere nutrito e protetto corrisponde il bisogno complementare della madre di accudire e nutrire. Vi è cioè una sincronizzazione tra desiderio infantile e risposta materna che si fonda sulla capacità della madre di comprendere empaticamente gli stati interni del bambino e che ha un fondamento genetico: in riferimento a tale sincronia Sullivan propone un “teorema della tenerezza” in base al quale «…il comportamento del bambino (pianto e vocalizzi) dovuto alla tensione generata dai suoi bisogni induce tensione nella madre: questa tensione viene vissuta come tenerezza e impulso ad attività che soddisfino i bisogni del bambino…».
Ma ciò che l’autore vuole maggiormente evidenziare è che il bisogno di essere nutrito e quello complementare di offrire nutrimento acquistano sin dall’inizio un significato interpersonale e interattivo: infatti il bambino con il suo pianto e i suoi vocalizzi non reclama soltanto cibo ma anche la presenza della madre e delle sue amorevoli cure, ossia un nutrimento oltre che organico anche psicologico e relazionale. Una madre che offra semplicemente un buon cibo non è ancora e in alcuni casi non è affatto una buona madre.
Sullivan riprende la concezione freudiana in base alla quale la psiche tende ad abbassare attraverso scariche energetiche gli stati di tensione derivanti tanto da fattori organici che da fattori legati alle relazioni interpersonali e più precisamente ai fattori che inducono insicurezza nei rapporti sociali. L’organismo oscilla tra due stati di tensione opposti: tensione assoluta (terrore), totale mancanza di tensione (euforia). L’angoscia ad esempio è uno stato di tensione che origina nei rapporti interpersonali e che pone le radici nel rapporto primario.
- EMPATIA
L’empatia è il canale elettivo di cui la madre si serve per entrare in contatto con le esigenze interne del bambino. Essa può essere definita come una sorta di sesto senso, la capacità di immedesimarsi in un’altra persona sino a coglierne i pensieri e le emozioni. E una sorta di comunione affettiva pre-logica che viene raggiunta attraverso un processo di identificazione profondo e spesso inconscio. Essa rappresenta uno degli strumenti terapeutici più importanti dell’analisi e ogni buon analista oltre a possedere una buona capacità empatica deve avere una certa abilità nell’entrare e uscire da tale processo.
Nella relazione madre-bambino l’empatia gioca un ruolo primario: da un punto di vista psicodinamico possiamo definire l’empatia come una sintonizzazione di madre e figlio sui rispettivi mondi inconsci.
- ANGOSCIA
E’ all’interno della relazione interpersonale che prende forma la personalità dell’individuo. Innanzitutto è attraverso la relazione con un oggetto esterno che il bambino impara a differenziare il sé dal non-sé.
Secondo Sullivan la coscienza emerge e si organizza a partire dall’opposizione tra gli stati piacevoli e gli stati spiacevoli (angoscianti) che si verificano nella relazione primaria con la madre: è nelle interazioni con la madre che il bambino nasce psicologicamente ed è in tale relazione che il bambino sperimenta per la prima volta l’angoscia. Per Sullivan, qualsiasi dissonanza tra il bisogno del bambino e la disponibilità dell’ambiente viene da questi sperimentata come angosciosa, e spesso la madre risponde a tale angoscia con la sua angoscia che viene inevitabilmente trasmessa al bambino che si angoscia di più ecc., instaurando così un circolo vizioso definito da Sullivan “effetto valanga”.
L’intensità del sentimento d’angoscia è superiore a qualsiasi altro affetto provato dal bambino e diventa una sorta di organizzatore del modo in cui il bambino si relaziona al mondo. Egli associa tutte le sensazioni spiacevoli alla “madre cattiva” e tutte le sensazioni piacevoli alla “madre buona” dove per “madre” non si intende una persona reale, ma un insieme di stati interni del bambino, legati alla relazione con la madre e associati tra loro sulla base della loro piacevolezza o spiacevolezza.
- STRUTTURA DELLA PSICHE INFANTILE
La psiche del bambino si struttura in 3 parti proprio in relazione a tali vissuti di gratificazione e di angoscia: Io buono, Io cattivo e non-Io.
Io buono - Deriva dalle esperienze gratificanti nel rapporto con la madre.
Io cattivo - Deriva dalle esperienze angoscianti ma tollerabili del rapporto con la madre.
Non-Io - Deriva da una rimozione potente di esperienze eccessivamente angoscianti e intollerabile nel rapporto con la madre. Tale materiale rimosso e tabuizzato va a costituire il non-Io.
Quindi questa tripartizione della psiche ricalca classi di esperienze che vengono organizzate sulla base del loro potere ansiogeno; le più ansiogene vengono rimosse.
Sullivan fa una distinzione tra 2 tipi di esperienze precoci d’angoscia:
1 - Nella prima il pianto del bambino fallisce nell’ottenere ciò che di solito ottiene con tale comportamento, la comparsa della madre; tale situazione d’angoscia è tollerata dal bambino che geneticamente è adeguatamente equipaggiato per affrontarla. Ossia questa esperienza di frustrazione non è in grado di produrre una rappresentazione pessimistica del mondo in cui l’individuo si aspetta da esso solo frustrazioni o scarse probabilità di successi (gratificazioni).
2 - Nella seconda il pianto del bambino ottiene si la comparizione del seno della madre, ma è un seno diverso da quello appagante e rassicurante che egli si aspetta, non è il seno che di solito contiene la sua angoscia perché è una madre angosciata (per qualunque ragione) a porglielo.
Il bambino si aspettava un’intensa gratificazione ma al contrario esperisce un’intensa frustrazione; laddove si aspettava una sensazione gratificante ha esperito una situazione angosciante.
Ad una madre angosciata il bambino può spesso rispondere con un rifiuto del seno, distogliendosene o respingendolo, dando origine così a un’ulteriore risposta angosciata della madre, innescando l’“effetto valanga”. Esperienze ripetute di questo genere possono portare a una grande sofferenza psichica.
Sempre riguardo all’angoscia, Sullivan sostiene che è essa e non il Super-Io ad essere il rigido censore che ostacola l’emersione dei contenuti inconsci: sul piano terapeutico ciò implica che è essenziale che, per il buon esito della terapia, l’analista sappia fronteggiare l’angoscia del paziente, che la sappia contenere e sedare sino al punto di farla regredire lentamente.
- DINAMISMI - Il Sistema Sé: difesa dall’angoscia
Sullivan si appoggia al postulato in base al quale la realtà ultima dell’universo è energia e che tutti gli oggetti materiali sono manifestazioni di energia; ogni attività inoltre rappresenta l’aspetto cinetico o dinamico dell’energia. Il dinamismo è quindi uno schema duraturo di quelle trasformazioni di energia (attività) che caratterizzano l’organismo.
In altri termini i dinamismi corrispondono a schemi di comportamento abituali e duraturi.
All’interno del rapporto primario, la madre è in grado, attraverso meccanismi ancora sconosciuti, di trasmettere al figlio la propria angoscia o un senso di sicurezza; il bambino sviluppa dei meccanismi reattivi a tali sentimenti detti dinamismi sui quali si strutturerà la sua personalità.
In altre parole il bambino risponde agli stimoli dell’ambiente circostante sviluppando degli schemi stabili di funzionamento psichico chiamati dinamismi: il dinamismo quindi corrisponde ad uno schema comportamentale abituale finalizzato a soddisfare i bisogni fondamentali del bambino (sicurezza e protezione).
Tra i vari dinamismi il più importante è il sistema Sé, che è un meccanismo che nasce con lo scopo di fronteggiare le situazioni di angoscia derivanti dalla relazione con la madre. Tale dinamismo permette all’individuo di adottare una serie di strategie relativamente adeguate ad evitare l’angoscia che genera dalle relazioni interpersonali.
Cioè, quando il rapporto con la madre genera angoscia nel bambino, quest’ultimo adotterà delle strategie atte a diminuire tale angoscia. Le strategie più efficaci nel ridurre l’angoscia, verranno applicate con maggior frequenza sino a diventare vere e proprie modalità relazionali abituali verso il mondo esterno (madre), ossia degli schemi mentali stabili che andranno a costituire alcune delle caratteristiche stabili della personalità.
Tuttavia, se il sistema Sé, in quanto meccanismo di difesa contro l’angoscia, diventasse sovrabbondante, porterebbe l’individuo ad una forma di rigidità difensiva che gli impedirebbe di relazionarsi agli altri in modo costruttivo e di giudicare in modo obbiettivo il proprio comportamento. Il sistema Sé infatti, nel tentativo di proteggere l’individuo dall’angoscia, tende a isolarsi favorendo lo sviluppo di un falso Sé accanto ad un Sé reale “iperprotetto” da tale maschera.
Quindi, nel corso dello sviluppo e a scopo difensivo, accanto a un Sé reale si può sviluppare un falso Sé in accordo con le aspettative sociali. Un distacco eccessivo tra questi due Sé, per allontanare l’angoscia, può portare ad una condizione schizoide.
- PERSONIFICAZIONI
Le personificazioni (termine coniato da Sullivan), sono le immagini degli altri e di se stesso che l’individuo si è costruito ed ha interiorizzato. Dalle prime esperienze relazionali che il bambino vive nel rapporto con la madre, derivano sia le personificazioni di madre buona e madre cattiva, che le personificazioni del me buono (derivante da una relazione con la madre gratificante), del me cattivo (relazione frustrante) e del “non me” (sede del rimosso impossibile da elaborare); le modalità relazionali future dipendono da queste primitive rappresentazioni.
L’individuo si trova in una rete di rapporti interpersonali che comprendono, oltre che figure reali, anche immagini mentali, rappresentazioni di Sé e degli altri dette “personificazioni”. Queste ultime sono dunque un insieme di sentimenti, concezioni e atteggiamenti originati da esperienze legate alla soddisfazione dei bisogni o alla loro frustrazione e cioè all’angoscia, fattori che influenzano il modo in cui ci relazioniamo agli altri. Chi ha avuto un padre autoritario e lo personifica tenderà a riproporre tale modalità relazionale ogni volta che si trova a che fare con persone di potere.
In una personificazione possono coesistere aspetti positivi o negativi e tali aspetti influenzano in modo permanente le abitudini relazionali dell’individuo.
- INFLUENZA DELLE CARATTERISTICHE BIOLOGICHE
Come tutti i post-freudiani, Sullivan considera l’uomo come un sistema biologico e non nega l’influenza, sullo sviluppo della personalità, di fattori costituzionali. Tuttavia i suoi interessi sono rivolti alle determinanti relazionali e non a quelle biologiche (come le pulsioni sessuali per Freud).
- SVILUPPO DELLA PERSONALITA’
Lo sviluppo della personalità dipende dal tipo di esperienze relazionali che l’individuo fa non solo nelle fasi precoci del suo sviluppo, ma nell’arco dell’intera esistenza. Non si deve identificare l’esperienza con l’evento percepito; esperire è un atto soggettivo e l’esperienza dipende sia dall’evento percepito che da come tale evento viene filtrato, percepito dall’individuo.
Ciò significa che la personalità nel suo complesso non si determina necessariamente nei primi anni di vita, ma può cambiare in relazione alle nuove esperienze relazionali che l’individuo fa.
L’esperienza è mediata da tre processi cognitivi (modalità):
1 - Prototassico - E’ il modo di esperire più antico, rozzo, semplice e frequente. E’ attraverso questo processo cognitivo che il bambino nei primi mesi di vita esperisce l’esistenza; consente la formazione di immagini, sensazioni e sentimenti allo stato grezzo, non connessi tra loro e sprovvisti di significato; sono tuttavia necessarie allo sviluppo di modalità più evolute di organizzazione dell’esperienza.
2 - Paratassico - Modo di esperire in cui si stabiliscono relazioni tra eventi che non hanno in sé alcun nesso logico. Secondo Sullivan la maggior parte degli esseri umani interrompe il proprio sviluppo a questa modalità esperenziale: ne è un esempio la superstizione.
3 - Sintassico - Si rende manifesta nel comportamento comunicativo e cioè nel gesto e nel linguaggio e compare attorno al 12°- 18° mese di vita.
Sullivan distingue sette fasi dello sviluppo, ciascuna caratterizzata da una particolare dinamica relazionale: infanzia, fanciullezza, età scolare, pre-adolescenza, prima adolescenza, tarda adolescenza.
Nella fase preadolescenziale emergerebbe, in ordine di maturazione, l’ultimo dei bisogni fondamentali, quello di intimità, differenziato dal bisogno prettamente erotico, non inteso necessariamente nei termini di “contatto” tra gli organi genitali ma più genericamente di “vicinanza”. Ciò spinge il giovane a ricercare un intenso legame affettivo e qualora la motivazione erotica, per qualche motivo, non venga rivolta al sesso opposto, si avrà una scelta omosessuale.
- PSICOTERAPIA
Secondo Sullivan un “disordine psichiatrico” è qualunque organizzazione della personalità che si dimostra inadeguata alle relazioni interpersonali dell’individuo.
La personalità non solo si struttura a partire dai rapporti interpersonali, ma si esprime attraverso essi.
Per capire a fondo l’eziologia del disturbo del malato, è necessario che questi venga valutato nell’ambito del contesto sociale in cui vive: ogni comportamento patologico acquista il suo significato soltanto tenendo conto dell’ambiente in cui si sviluppa.
Quindi anche il trattamento deve fondarsi sul rapporto interpersonale paziente-terapeuta.
Sullivan mise a punto un nuovo tipo di intervento psicoterapeutico basato sul “colloquio psichiatrico” esteso al campo delle psicosi. Il rapporto medico-paziente non è concepito secondo lo schema sano-malato, ma come un tentativo di reciproca comprensione in cui il terapeuta, assumendo un atteggiamento empatico, si pone al servizio del paziente.
Quindi, nella terapia, l’analista, contrariamente all’impostazione psicoanalitica ortodossa, non deve assumere un atteggiamento distaccato e neutrale ma deve instaurare col paziente un dialogo in cui le ipotesi via via avanzate vengano successivamente riprese per verificarne la coerenza rispetto agli eventi successivi, ai nuovi elementi che si presentano nel corso dell’analisi. In questo processo, definito di “convalida consensuale”, i contenuti del paziente e le idee dell’analista sono sottoposti continuamente a un rigoroso e dettagliato vaglio critico.
L’intervistatore deve adottare un atteggiamento di «osservazione tranquilla», cercando di capire veramente il problema del paziente, partendo dal presupposto che egli stesso ha qualcosa da imparare da lui. E’ un osservatore partecipante e non giudicante, ne tanto meno freddo e distaccato. Nel colloquio deve prodursi una comunicazione emotiva definita «emozione reciproca». Sullivan aveva una grande capacità di entrare in contatto con il mondo psicotico: era un uomo molto empatico.
Inoltre, affinché un colloquio psichiatrico, come qualsiasi altro tipo di colloquio, riesca perfettamente, è necessario che l’intervistato capisca da subito che sta per apprendere qualcosa che gli può essere utile a vivere meglio.
- SCHIZOFRENIA
I maggiori contributi di Sullivan riguardano, i disturbi paranoici, le nevrosi ossessive ma soprattutto la schizofrenia, disordini di cui ebbe una diretta e vasta esperienza. Ebbe invece poca esperienza nel trattamento delle depressioni ed altre forme nevrotiche minori.
Riguardo alla schizofrenia rifiutò l’ipotesi, allora assai diffusa nel mondo medico, di una tossina causante il disturbo: egli attribuiva tale disturbo a situazioni relazionali negative.
Inoltre rifiutò la posizione freudiana in base alla quale i pazienti schizofrenici non potevano essere sottoposti ad analisi per la loro impossibilità di sviluppare un transfert e in particolare un transfert analitico. Secondo Freud nella schizofrenia si verifica un reinvestimento narcisistico della libido (ossia tutta la libido viene investita sull’Io) che impedisce loro di investirla su oggetti esterni e cioè impedisce loro di instaurare e consolidare legami affettivi con altri. Conseguentemente non è possibile una nuova riedizione del conflitto interiore nella relazione con l’analista, giacché non vi può essere una relazione con esso.
Sullivan invece considerava la schizofrenia non tanto come una vera e propria malattia ma come una grave forma di disagio psicologico caratterizzato soprattutto da modificazioni della personalità: molte delle competenze del paziente non sarebbero realmente compromesse ma semplicemente rimosse.
Così come Freud aveva dimostrato che il comportamento nevrotico non è insensato ma al contrario ha un valore comunicativo ed è dotato di significato, così fece Sullivan per il delirio schizofrenico che acquisisce un significato ben preciso purché ricondotto al contesto relazionale da cui ha avuto origine. Anche se il linguaggio dello schizofrenico appare insensato, esso è dotato di senso e rappresenta quindi una forma di comunicazione da decriptare: tale operazione è possibile solo attraverso l’instaurarsi di un contatto estremamente empatico.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
- L’enfasi posta sull’influenza, nello sviluppo della personalità, dei rapporti interpersonali ha fornito un contributo fondamentale all’evoluzione della teoria delle relazioni oggettuali
- I rapporti che ci coinvolgono emotivamente ci creano delle enormi difficoltà, poiché riecheggiano continuamente nell’inconscio il primo rapporto della nostra vita: quello con la madre. Alla nascita il bambino è privo di difese e se l’esperienza relazionale con la madre sarà stata negativa, da adulto egli non sarà in grado di vivere in maniera adeguata quei rapporti nei quali sia presente lo stesso genere di affettività presente nella relazione col genitore.
Persino nell’apprendimento l’affettività gioca un ruolo di primo piano: una concezione ben nota ai pedagogisti è quella in base alla quale se non esiste un legame affettivo, ciò che viene detto non penetra all’interno e rimane lettera morta.
- Il rapporto tra i bisogni interiori e le relazioni con l’ambiente non viene approfondito.
- Il concetto di angoscia di Sullivan solleva molti dubbi: portando alle estreme conseguenze tale concetto, si potrebbe concludere che in un contesto familiare e sociale idealmente perfetto, in cui al bambino venga comunicato solo un gran senso di sicurezza e nessuna angoscia, il sistema del Sé non avrebbe senso di esistere e quindi avremmo a che fare con soggetti privi di un nucleo centrale di identità che possiamo chiamare Sé, come ha fatto Sullivan. Egli qui ricorre ad un’escamotage affermando che nessuna società può produrre una situazione così idilliaca.
- Il contributo più originale di Sullivan resta quello del trattamento della schizofrenia che, pur non basandosi su una spiegazione teorica, risulta molto efficace nel concreto.